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mercoledì 18 novembre 2015

Noi che la guerra non la conosciamo. E ci fa paura.

Parigi,dopo gli attentanti. (Foto tratta dal web)

Sono giorni duri per questa parte di mondo. E lo saranno ancora di più i prossimi. Venerdì sera, in poco più di mezz’ora, una decina di uomini circa ha paralizzato una città di 2 milioni e mezzo di abitanti come Parigi. Ma ha fatto di più, molto di più: ha paralizzato l’Europa intera.

Io sono nato nel 1989, l’anno in cui il mondo così come lo avevano conosciuto i miei genitori, stava cambiando completamente. Da quando sono nato, di cose brutte in televisione ne ho viste; mi ricordo benissimo gli attentati che più hanno scosso e ferito la sensibilità di noi occidentali: l’attentato alle Torri gemelle, quello nella discoteca di Bali e quelli a Madrid e Londra. Me ne ricordo tanti in Africa.  E poi, ovviamente, le guerre. Quella nei Balcani e quelle in Afghanistan ed Iraq, il conflitto costante tra Israele e Palestina, e, naturalmente, i più recenti, dopo le cosiddette primavere arabe, in Libia e in Siria. Tutti eventi terribili, di cui, con l’avanzare delle tecnologie, abbiamo saputo sempre più cose, sempre più dettagli. Chi sono i morti, quanti, come sono morti. Anche con dovizia di particolari. Come fossimo lì fisicamente, nel bel mezzo dell’attentato o sotto una grandinata di bombe. Ma noi (o meglio, la maggior parte di noi) lì, fisicamente non ci eravamo.

Noi, e con noi intendo quelli della mia generazione e anche più grandi, la guerra non l’abbiamo mai vista. Sì, come già detto, l’abbiamo vista in televisione, su internet, al cinema. L’abbiamo letta sugli articoli di giornale, l’abbiamo studiata sui libri a scuola e nelle università: ma è qualcosa che non ci appartiene, che non vediamo (o sarebbe meglio usare il passato) e non percepiamo come qualcosa che potrebbe coinvolgerci. La guerra, le bombe, i missili sono cose che riguardano quella parte di mondo là. Non noi; noi dibattiamo se sia giusto o sbagliato farla. Però, poi, qualcun altro la combatterà e soprattutto qualcun altro la subirà. Ci ha fatto molto paura vederla, ma non ci ha mai fatto realmente paura perché sapevano che qui, nel cuore dell’Europa occidentale non sarebbe mai arrivata. Ora, verosimilmente, qualcosa è cambiato; come hanno ben spiegato i massimi esperti di terrorismo e geopolitica internazionale, con gli attentati di venerdì 13, i terroristi dell’ISIS hanno fatto un salto di qualità, un passo in avanti: sparano in mezzo alle persone comuni (non politici, non vignettisti etc.), si fanno esplodere di fronte agli stadi, assaltano a colpi di kalashnikov teatri, bar e ristoranti.

Hanno portato il terrore nelle strade, nei nostri luoghi “sacri” (che per loro, al contrario, sono simboli di peccato) dove ci raduniamo per ascoltare musica, per mangiare e bere e per vedere una partita di calcio: la nostra vita quotidiana. E cosa fa la guerra se non terrorizzare le persone e paralizzarle nel loro quotidiano? Allora penso ai miei coetanei siriani, afgani, iracheni, libici, etiopi, eritrei che vivono in questa condizione per la maggior parte dei loro giorni; forse non hanno conosciuto altro. Non un concerto con gli amici, non una partita di calcio in libertà. O forse sto esagerando, chi lo sa, d’altra parte noi la guerra non la conosciamo. Ne abbiamo avuto un piccolissimo assaggio e ci è bastato. Il tutto è durato qualche ora, ma ci ha spaventato a morte, perché noi quella sensazione di impotenza, di rassegnazione di fronte a qualcuno di più forte non l’avevamo mai provata. E la paura dilaga, la paura che diventa terrore al solo pensiero che quello che è successo per le strade di Parigi possa diventare qualcosa di concreto, realtà non proprio quotidiana, ma quasi; non un evento isolato, insomma.

Alt. Mi fermo un attimo, forse sto esagerando di nuovo. Forse oltre ad avere una giustificata paura, siamo anche troppo autoreferenziali; allora rifletto: effettivamente, ad oggi, questa guerra è ancora una guerra loro. Una guerra tra di loro. Non lo dico io, lo dicono i numeri. E poi non ho ancora considerato la reazione. La grande reazione dell’Occidente. Sarà durissima, ovviamente. Una nuova guerra è pronta a partire, i caccia pronti a decollare carichi di bombe da far cadere sui miei coetanei siriani, libici etc. etc. E allora via la paura, la guerra tornerà “cosa loro”e per noi solo un brutto ricordo.
Alessandro Paroli
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