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martedì 23 febbraio 2016

L'infinito di Fattori


Sempre cara mi fu quest'irta roccia,
e questa schiuma, che su tanta parte
de l'ultimo orizzonte
il guardo abbraccia.
Ma
stagliando e mirando...


Se Leopardi fosse vissuto a Livorno, forse L'Infinito avrebbe preso questa piega.

Ma la tela naturalistica sembra perdersi in profondità e scombussolarsi con echi novecenteschi. Quel pescatore di spalle, per me, è come uno strappo emotivo.

Di certo ha qualcosa dentro che lo muove e che lo fa alzare rispetto agli altri uomini sdraiati sotto le barche tirate a secco. Lo immagino muto. Parla il mare.
Ne sente il richiamo.

Mi piace immaginare che in questa Giornata grigia, che appesantisce l'anima di pescatori appisolati per la malinconia del vivere -non per la stanchezza-, un uomo riesca a trovare la maglia rotta nella rete, per dirla alla Montale, che squarci la realtà di un ovattato mattino marino, quando l’acqua si perde, come ogni giorno, nelle tane dei granchi.



Nella Tempesta è solo, ma appare sempre di spalle. E come se stessimo al suo fianco, la visione del mare uggioso è anche la nostra e il cielo è lo specchio anche della nostra anima. Ma il suo piede è fermo, le mani in tasca. Il pescatore della spiaggia rocciosa, invece, pare in movimento. Sembra volere entrare nel mare, assetato di acqua salata, con quei pantaloni tirati fino a sopra il ginocchio.

E’ lo scrutare lontano, un magnete continuo. Una sirena d’Ulisse.
E nella Giornata grigia c'è la stessa tensione verso l'infinito leopardiano.
E'l naufragar m'è dolce, in questo mare.




Emiliano Borghini 
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